lunedì 10 dicembre 2012

La Cultura del "precotto"

Ricordo bene, come se fosse oggi, che quando avevo circa dieci anni a scuola si scatenò un putiferio. Ai genitori era giunta difatti voce che alla mensa scolastica (alle elementari facevo due pasti a scuola, il martedì e il giovedì) d'ora in avanti sarebbero stati serviti cibi precotti. Per non meglio specificate "necessità contrattuali" (quindi tradotto "spendere meno palanche") non era più possibile affidarsi all'attuale ditta che pagava le nostre amate cuoche e tutti i materiali necessari per cucinare un pasto per 200 studenti. Meglio il precotto, no? Basta cuochi, basta cucine, non sporca, se avanza si usa la prossima volta: abbatte i costi e abbatte gli sprechi.
Beh io precotti non ne ho mai mangiati, per lo meno a scuola in quegli ultimi due anni di elementari. I genitori, giustamente indignati per queste considerazioni che facevano pagare alla qualità del cibo dei loro figli alcune "limate" al bilancio dell'istituto, fecero l'impossibile ed imposero quasi al Direttore e al Consiglio scolastico di ritornare sui propri passi. Questo però ormai diciotto anni fa.
Ad oggi il precotto è all'ordine del giorno: mense scolastiche, mense aziendale, bar, fast food, pseudo ristoranti a prezzi popolari, addirittura cene plug and play per inchiappati dei fornelli o raffinati frettolosi. Osannato dalla pubblicità, decantato dai palati più fini, l'essere "cotto a priori" non ne denota più la caratteristica di "scarsa genuinità" che tanto aveva allarmato i nostri zelanti genitori, in anni certamente meno abituati al "fast food" di quelli in cui attualmente viviamo. Come il cibo abbiamo tra l'altro cominciato a precuocere tutto: le vacanze sono precotte, acquistabili in pacchetti prestabiliti che non implicano neppure la fatica di capire dove vuoi andare, basta puntare il dito a caso sull'offerta migliore, pagare, fare la valigia e aspettare che il "tour" finisca. La comunicazione è ulteriormente precotta: all inclusive, relax, io-te-noi-voi tutti Gratis. Neppure devo guardare l'offerta migliore: non devo neanche PENSARE, solo telefonare, telefonare, telefonare, navigare, chattare, scaricare. LORO pensano a tutto, anche a scegliere il telefono che funziona meglio per TE, ti consigliano la TUA tariffa ideale e via. ALL inclusive. Comunicazione precotta e servita, ancora calda. Divertirsi è precotto: cinema, sport, teatro. Per una modica cifra puoi avere TUTTO, senza rinunciare a NULLA. W il precotto! W il tutto! 

Abbiamo precotto la scuola: meno materie, insegnanti riciclati e molto spesso sfruttati senza certezze, nessuna stabilità di programmi e di qualità educativa. Una "mensa" educativa sempre più affollata e meno alta qualitativamente, dove la maggior parte degli avventori si accontenta di essersi in parte riempito lo stomaco, senza neppure sapere di cosa. Abbiamo precotto le Università, simbolo di eccellenza e di alta formazione: piani di studio take away, utili a riempire le tessere a punti dei crediti per vincere la pirofila (laurea) finale. Ma che cosa importa? Abbiamo diffuso la cultura no? Abbiamo dato da mangiare a più persone, a meno prezzo e con il risultato di riempire la pancia a tutti. Sì, è vero, ma con cosa?

Il precotto non è un cibo scadente, ma non è un cibo fresco. E' conservato, scaldato e servito, orfano di qualcuno che lo confezioni con cura sul momento, figlio di una catena di montaggio anonima e priva di personalità. Abbiamo trasposto con grande nonchalance questo processo, che fino a poco tempo fa faceva inorridire i nostri parenti, dal cibo alla nostra cultura. Così per esempio le mostre che dovrebbero essere fonte di arricchimento e conoscenza, per le opere esposte e per i cittadini che hanno occasione di fruirne, sono diventate degli show di masterpieces, privi di nome e di valore proprio perchè straordinariamente noti a tutti. La mostra viene visitata perchè tutti sanno cosa vedranno, ci vanno per quella o quell'altra "grande opera", la conoscono, sanno chi l'ha fatta, appare su tutti i cartelloni pubblicitari. E' un'esposizione del noto, del conosciuto. Del precotto. Il ragionamento che ci sta dietro sembra esattamente quello che fece, ai tempi suoi, il Direttore della mia scuola elementare: perchè mantenere qualche storico dell'arte a fare ricerche sulle opere da esporre o sul periodo da trattare? Perchè consultare un architetto o un designer per rendere accattivante, ideale, confortevole l'esposizione? Perchè lavorare su una pubblicità efficace e bella? Chiamiamo un personaggio che abbia tanti contatti, mi porta un Caravaggio, un Van Gogh, un Monet e la gente verrà a frotte! Poca spesa, tanta resa. Peccato però che parlare di cultura non abbia granchè a che fare con le modalità di cucinare un piatto di maccheroni per una scolaresca, per quanto importante questo possa essere.

Non voglio trarre una conclusione, perchè sarebbe solo amara e di amarezza non abbiamo proprio bisogno.
Negli anni dei tagli, della dimenticanza del bene, del vero e del bello vorrei solo che ci riconoscessimo troppo legati ad un mondo che corre troppo in fretta e troppo lontano, estraniandoci dalla consapevolezza della nostra ricchezza culturale e spirituale, dalle nostre radici e da ciò che può renderci felici e orgogliosi.
Un mondo che punta a precuocerci la vita, dicendo come, cosa e perchè dobbiamo credere, pensare e fare.

Vorrei che fossimo come quei genitori (tra cui i miei, che non ringrazierò mai abbastanza) che non si piegarono a far mangiare ai loro figli dei cibi precotti: uniti, consapevoli e pronti a lottare per ciò che riteniamo importante per noi e per le future generazioni.

giovedì 22 novembre 2012

C.V.D. Come Volevasi Dimostrare.

http://genova.repubblica.it/cronaca/2012/11/22/news/via_aurea_rester_a_vista_l_antico_selciato_ritrovato-47205597/

Ed ecco che, con spiccata abilità profetica, si palesa all'orizzonte esattamente il quadro che mi ero figurato.
Mi domando se i "plebisciti" via Facebook siano un bene o un male. Per come la vedo io le strumentalizzazioni di massa e le "crociate" senza prese di coscienza sono quanto di più deleterio si possa ottenere dalla comunicazione odierna, soprattutto su un tema delicato come quello del patrimonio culturale.

Tremo al pensiero di ciò che sarebbe successo al "Giudizio universale" di Michelangelo se, al suo tempo, i sistemi "plebiscitari" per decidere se il grandioso affresco dovesse essere conservato o distrutto perchè troppo licenzioso fossero stati facebook, twitter o internet in generale come oggi.

Quasi sicuramente oggi ne avremmo notizia solo dalle fonti. Meditate gente, meditate prima di lanciarvi in "imprese" conservative che in realtà non sono che specchi per le allodole, usati per distogliere l'attenzione dalle reali e gravi problematiche del patrimonio genovese e ligure.

martedì 20 novembre 2012

Respice finem. Questione di punti di vista.


"Eccezionale. Dopo anni di ricerche e di studi finalmente gli sforzi congiunti di archeologi, storici dell'arte ed architetti hanno dato i frutti sperati. E' accaduto qui, a Genova, dove è venuto alla luce, sotto cinquanta centimetri di oscena e deturpante pavimentazione ottocentesca composta da selciato, sabbia e pietrisco, l'originale e magnifico ciottolato che pavimentava Strada Nuova a metà del 1500, anni della sua realizzazione. Lo straordinario ritrovamento ha subito messo in moto la macchina della tutela, che ha raccolto adesioni ed entusiasmi da ogni angolo: social network, giornali, singoli cittadini hanno cominciato a proporre soluzioni conservative ed espositive per il monumento che è ormai considerato testimonianza irrinunciabile e significativa dell'identità e della cultura dei cittadini. Chi propone una grande lastra trasparente per permettere a tutti di calcare ancora "virtualmente" gli antichi ciottoli sui quali, chissà, avrà forse posato la sua suola anche il pittore Luca Cambiaso o il fiammingo Pieter Paul Rubens; chi invece invoca un distacco e una musealizzazione più "ragionata" per meglio comprendere l'entità del manufatto e della sua importanza come testimonianza del grande "siglo de los genoveses". La soprintendenza ancora non ha proferito verbo, ma qualche voce di corridoio parla addirittura di un "Museo della Strada", che avrebbe come opera centrale e catalizzante proprio il ritrovamento epocale dei giorni scorsi."

Ecco, il tenore delle notizie che circolavano attorno a quello che a tutti gli effetti è stato uno "scavo" per motivi di gestione dei servizi pubblici (acqua, luce, gas), era senz'altro riassumibile come toni e come consapevolezza in qualche riga come quelle che ho provato, ironicamente, a scrivere io. Quello che è successo a Genova è molto banale in realtà: per l'ennesima volta hanno alzato il selciato di via Garibaldi, stavolta qualcuno se l'è data che quelle pietre tutte vicine non potevano essere lì per caso e "hip hip urrà" è uscita "l'antica via Aurea", secondo quanto starnazzavano tutti come le oche del Campidoglio a destra e a manca. Il passo dallo starnazzo alla concione è, si sa, molto breve e così in men che non si dica Facebook era popolato di grandi teorici della conservazione dei beni artistici, di grandi interessati alla "storia e cultura della propria città", alle "testimonianza preziose di un nobile passato". Chi sentenziava che è imprescindibile una finestra sul "pavimento" dell'attuale strada per poter ammirare l'abilità con cui i genovesi del XVI secolo giustapponevano le pietre, alla ricerca della perfezione e dell'equilibrio Rinascimentale; chi invece imponeva "ex cathedra" che subito si ponesse l'antico manufatto in un bel museo, in modo "che tutti possano ammirarlo"! E che diamine, vorrete mica privarci della NOSTRA via Aurea?? Noi, gli indefessi difensori della difesa di Genova città della cultura, dell'arte e della coscienza civile? Ma siamo pazzi? Stiamo forse scherzando? Chi è il folle troglodita e bifolco che oserebbe ancora porre terra e pietre sui sublimi conci sbozzati forse dalle diafane mani di Bernardino Cantone o (non oso neppure scriverlo) Galeazzo Alessi???
Bene, forse il troglodita e bifolco dimostrerebbe più sale in zucca di voi, amanti dello scoop, interessati da TG in edizione straordinaria, elettori di Obama e astenuti in Italia.
Pensate che una lastra di vetro o il confino (perchè è di confino che si tratta, non di esposizione) in una sala di un Museo sarebbero uno strumento utile a valorizzare il nostro misconosciuto e bistrattato patrimonio? Mi dispiace, eroi, sarebbe troppo facile: questi scoop, queste vittorie facili, questo "patrimonio diffuso", questa "tutela immediata" sono solo lo strumento per lavare la coscienza lurida di una Città che vive un'amnesia culturale quasi irreversibile, facendoci sentire tutti più "culturalmente impegnati" senza però impegnarci sul serio. Insomma è come fare le domeniche senza auto per far finta di essere un Comune amico dell'ambiente quando si taglia tutto il tagliabile sul trasporto pubblico, incentivando così quello privato con conseguente impennata del relativo inquinamento.

Noi NON abbiamo bisogno di altre lastre di vetro per terra. Mi bastano quelle di Santa Fede, quelle del porto antico e quelle che neppure ricordo perchè nessuno si è mai degnato di dirmene il significato e quindi per me e per tutti non vogliono dire nulla. Genova NON ha bisogno di un'altra sala di museo con l'ennesimo pezzo di pietra, eredità di chissachì, le bastano le sale (vuote) del Museo Diocesano, quelle (deserte) dell'Accademia Ligustica, la desolazione del Museo di Storia Naturale Giacomo Doria, le sue Ville dimenticate, le chiese deserte e semi abbandonate, la Basilica di Carignano e Villa Gustiniani Cambiaso, monumenti alessiani che crollano nell'anno alessiano (ironia del destino), l'Albergo dei Poveri - novella reggia del degrado organizzato.

Noi e Genova abbiamo bisogno di conoscere, amare e POI valorizzare (con consapevolezza quindi) il nostro patrimonio. Abbiamo bisogno di scoprire il piacere di riconoscere luoghi, valori, monumenti, capolavori, semplici "eredità" e testimonianze del passato che sono nostre per diritto, ci qualificano e ci rappresentano e in qualche modo sono anche il nostro biglietto da visita nei confronti di chi a Genova ci viene per turismo o per lavoro. Bisogno di senso civico, di responsabilità condivisa del NOSTRO patrimonio, perchè è venuta finalmente l'ora di smettere di demandare ad altri gli obblighi di tutela e valorizzazione: è il NOSTRO turno, quello di noi cittadini, di noi studenti, di noi "esperti" storici, storici dell'arte, geografi e letterati, di restituire agli occhi e ai cuori di tutti una città viva, frizzante e capace di esprimere un sincero coinvolgimento della sua gente.
Tutto questo però ha un prezzo, che è quantificabile nel voler fare le cose per bene, nel rischiare un investimento nella nostra promozione culturale puntando su giovani capaci ed entusiasti e non su dinosauri con il petto troppo pesante da un medagliere esageratamente folto. Un rischio però che sarebbe inevitabilmente ripagato cento volte tanto, creando quella circolazione di idee, eventi ed attività socio-culturali (concerti, conferenze, dibattiti, visite, tour guidati, mostre, aperitivi, feste....tutto -nei limiti- è lecito) che sono il motore delle attività commerciali, dell'immagine "pubblica" (e quindi turistica) della città e dei suoi abitanti. Si sa però, come ho detto, che una delle inderogabili leggi del mercato è che senza investimento, non ci può essere guadagno ed è questo il GIGANTESCO errore che l'Italia (ma un po' tutta Europa) sta commettendo: smettere di investire, tagliare solo in maniera brutale significa risparmiare un euro oggi, ma non riguadagnarlo mai più in futuro. Rendendoci però conto di questo processo erroneo e distruttivo si ha l'imperativo morale ed intellettuale di reagire: Genova come città può investire su se stessa, può proporsi come esempio virtuoso uscendo da una dinamica che potrebbe essere, se non fermata, catastrofica in breve tempo. Comprendere questo tipo di idea e farsene interprete dovrebbe essere l'obiettivo di ogni buona amministrazione che non mira al pareggio di bilancio gettando i libri contabili dalla finestra, ma che gioca il suo futuro sulle qualifiche, sulla volontà di fare bene e di crescere confrontandosi con la realtà presente (non passata) di un mondo delle cultura sempre più internazionale e multimediale, dove la COMUNICAZIONE è prerogativa indispensabile per dialogare efficacemente con le persone. BASTA eventi dove si trovano sempre le stesse 10 persone, BASTA personaggi incapaci che solo per aver pubblicato qualche libro amministrano istituzioni di cui non sono manifestamente in grado di promuovere il compito e l'importanza sul territorio, BASTA cultura-evento, mercificata come i prodotti in offerta al carrefour. BASTA, di queste cose NON abbiamo bisogno. I musei devono essere poli di dialogo aperto, centri di aggregazione, capaci di coordinare le iniziative sul territorio, non di reprimerle con gelosia e meschinità e così (ancora di più forse) dovrebbe fare la soprintendenza, organo preposto alla tutela dei beni, che oggi è una figura quasi più mitica del mostro di Lochness in quanto ad avvistamenti sul territorio. Sensibilità al mondo giovane, coinvolgimento attivo di scuole ed università, puntare ad un TARGET ALTO, non al minimo indispensabile per scimmie decerebrate, tanto per "tirare avanti". INVESTIMENTO (anche minimo all'inizio magari, ma minimo è sempre più di niente), SVECCHIAMENTO e innovazione, COMUNICAZIONE efficace e OBIETTIVI ALTI e ben delineati, sono a parer mio gli ingredienti per una città culturalmente vincente, capace anche di "mangiare" con la cultura, perchè no? Alla faccia (brutta) di Tremonti e di Bondi.

In conclusione, ricopriamola via Aurea. Non mettiamo vetri che non puliremo mai, non musealizziamo oggetti che non andremo mai a vedere. Il nostro patrimonio è ricchissimo e variegato, investiamo tempo, denaro ed affetti su ciò che possediamo. Sarà la strada per poter, in futuro, guardare a quel ciottolato con occhi più consapevoli.

sabato 20 ottobre 2012

Self-Destruction


Penso sempre più spesso che il problema più grosso della nostra società odierna non siano la crisi economica, la mancanza di lavoro, la spersonalizzazione dovuta all'impiego esagerato di tecnologia o l'inquinamento, tutte cose che, in maniera naturalmente relativa, si sono ripetute in maniera più percepibile o più attenuata lungo tutto il corso della storia. Mi capita di ragionare sul fatto che, in definitiva, il mondo ha vissuto delle tragedie inimmaginabili e che ne è uscito, a volte, più forte di prima. Ma là dove la civiltà ha toccato un punto estremamente basso, fateci caso, la situazione era quella di una forte compromissione culturale, dove un'urlo continuo nelle orecchie che propugnava falsi valori, una voce diffusa, non identificata, ti invitava a non pensare più con la tua testa alla cosa pubblica, che tu, povero cittadino inerme, avevi in definitiva altri problemi. Ci avrebbero pensato loro, gli altri, quelli che "sapevano cosa fare", a sistemare le cose. Ed ecco che la volontà di scrollarsi di dosso un fardello ingombrante come "le cose di tutti", che nessuno mai sa bene dove inizino e quando finiscano, se puoi permetterti di dire al tizio davanti a te che per terra le cartacce non ce le deve buttare oppure no ad esempio, si fa strada prepotente nei cuori del popolo oberato dalle cogenti necessità dell'oggi. "Vi prego, occupatevene voi, ho già tanti pensieri!". Quante volte ognuno di noi ha avuto voglia di dire una cosa del genere, in un periodo magari convulso della propria vita, quando davvero si va a dormire con il fiato mozzo e la speranza di non svegliarsi se non in un altro mondo, dove tutte  quelle ansie, quegli impegni, quelle difficoltà che sembrano insormontabili non esistano affatto?
A quel punto, la bomba è innescata. O sai scuoterti, stringere i denti e aggredire alla gola i momenti che seguono fino a che, sfinito e sanguinante, non ti troverai sulla cima del colle e la strada sarà tutta in discesa, oppure un tic dopo l'altro la bomba scoppierà. Nessun sopravvissuto, garantito.
Rimarrà soltanto il senso di sollievo per essersi tolti quel fastidioso, asfissiante peso dal cuore. Sì ma poi....quel peso cos'era? Che cosa è che ho messo nelle mani di quei sedicenti personaggi che via via si avvicendano a dirigere me, la mia città e tutto il resto?
Era la mia storia, i miei beni artistici, la mia cultura, l'istruzione dei miei figli.
C'è il malcelato pregiudizio che di queste cose se ne possano occupare solo gli "esperti". Quelli che si sono spaccati il mazzo a studiare sui libri più scientifici, quelli che hanno preso dodicimila aerei per partecipare a convegni con i tipi più tosti del mondo, quelli che hanno scoperto la Gioconda II- La Vendetta di Leonardo o hanno salvato il Colosseo dalle ruspe guidando la folla con un megafono, quelli che salgono sul tavolo per spiegare la letteratura a fanciulli depressi sorridendo alla Robin Williams. Eppure basterebbe così poco perchè ci si rendesse conto che cultura, arte, istruzione non possono sopravvivere se non sono valori CONDIVISI. Abbiamo "ceduto le armi" affidando completamente a dei presunti "responsabili" (ministri, soprintendenti, università) il nostro bene più prezioso, l'ipoteca su di un futuro ricco e illuminato ed essi si sono clamorosamente presi gioco di noi. Hanno fatto sembrare che a tutti non importasse nulla di questa ricchezza, che loro, poverini, lottassero tutti soli contro i mulini a vento per tenere in piedi l'arretrata scuola italiana (che faceva ancora scrivere le risposte e non usava i test a crocette: che trogloditi!), l'infruttifero e marcescente patrimonio culturale ("eh è colpa del popolo ignorante che non va nei musei a pagare il biglietto se tutto crolla! Guardate in Inghilterra quanti visitatori hanno!" Peccato che là i musei siano gratuiti.) o la quasi dannosa università pubblica (che peró guarda caso sforna le migliori menti d'Europa). Ci hanno convinto che tutto faccia schifo inevitabilmente e che si stia a galla solo grazie ai loro funambolici tentativi di salvare il poco salvabile.
Beh ci stanno prendendo in giro. Queste amministrazioni hanno munto il più possibile una scuola indomita ma ormai scheletrica ed ottuagenaria, senza creare posti per i giovani che l'avrebbero rinnovata, senza eliminare gli sprechi, ma solo tagliando risorse. Non solo: ne hanno soffocato la volontà educativa, stuprandone la programmazione e la ricchezza delle materie. Stessa cosa per l'università, dove clientelismo e spreco regnano ancora sovrani, ma al contempo sono state inseriti demenziali criteri meritocratici che escluderanno per sempre i giovani ricercatori dall'accesso alle docenze, buttando al vento i soldi che noi tutti (lo stato) abbiamo investito nella formazione di laureati e dottorati. E che dire del nostro patrimonio monumentale e museale? Beh per parlare solo di Genova basta pensare che il Museo dell'Accademia Ligustica ha dovuto vendere parte delle sue collezioni (pubbliche, di tutti!) a un privato per sopravvivere, che l'Albergo dei Poveri sta come potete leggere poco sotto, che i monumenti Alessiani (nel 500nario della nascita di Galeazzo Alessi) sono in condizioni che definire pietose è un complimento, con prospettive di peggioramento!

E' ora di riprenderci ció che è nostro, di essere PRESENTI, CRITICI e COSCIENTI di quello che stanno facendo alla nostra cultura, perchè un domani non possano convincere i nostri figli che tutta questa ricchezza, questo sapere e questa LIBERTÀ non siano mai esistiti. Rendiamoci conto che il rischio è questo! Che si perda la consapevolezza dell'importanza di ció che abbiamo "appaltato" a dei cattivi amministratori.
Per questo vi chiedo, a voi che leggerete queste righe, NON mollate. Andate a qualche noiosa conferenza che qualche vecchio trombone indice, vivete sulla vostra pelle questa sensazione che ho provato a descrivere. E poi cambiamo tutto. Diciamo la nostra ed esautoriamo degli individui palesemente inadatti e dannosi a farsi carico di queste responsabilità. Questo peró non si puó fare se prima tutte queste cose non diventano di nuovo VALORE ed INTERESSE condiviso da tutti. Finchè ci si ritrova in cinque agli "eventi" culturali, questi tizi daranno sempre la "colpa" alla nostra ignoranza ed al nostro menefreghismo: dobbiamo dimostrare che non è così o scopriremo con orrore, tra non molto, di esserci irresponsabilmente autodistrutti.

mercoledì 10 ottobre 2012

"Ricordati di me...."


"Ricordati di me". Sembrano le parole sottese dal marmoreo gesto orante di questo angioletto, un gesto sconciato dal tempo e dall'uomo, che lo ha privato di parte delle sue morbide dita di stucco.


 "Ricordati di me". Sono le parole sussurrate da sotto uno spesso velo di polvere dalle voci inanimate di tutta l'aula della chiesa.



"Ricordati di me". Mormora Maria Immacolata, il cui sguardo ormai non contempla più gli altissimi cieli, ma solo uno spesso tavolato di legno che la ingabbia, sottraendola alla vista e negandole un'ascensione che brama da trecentocinquant'anni.


"Ricordati di me". Parole di marmo, scandite a labbra strette e con gli occhi immoti dai 'benefattori' di un passato che in queste sale sembra ancora più lontano.


Mormorii, nient'altro che mormorii quasi inudibili, fuori dalle mura spesse del grande edificio seicentesco. Gabbia dorata degli ultimi, fu fatto per non vederli, per "toglierli dalle strade", per non doverne subire la degradante presenza, in una città dove (nel XVII secolo) la popolazione si divideva sostanzialmente in pochissimi ricchi e molti poverissimi. Luogo fatto per dimenticare la "parte peggiore" della società, forse in una ingenua ottica filantropica dal ricco Emanuele Brignole, oggi subisce con gli interessi e una crudeltà quasi scientifica la stessa sorte che destinò per secoli agli ospiti accolti e trattenuti dentro le sue mura.


Ciononostante, quale che sia la condanna 'morale' che si voglia elevare al complesso dell'Albergo dei Poveri, eretto in Genova nell'anno 1666, resta una realtà dal valore artistico straordinario per la città. Un valore che però oggi soltanto in pochissimi conoscono o hanno avuto la fortuna di poter vedere di persona. In particolare le emergenze artistiche più straordinarie sono in sostanza tre:

1)La quadreria, pensata dal Brignole e i suoi successori come 'arredo' delle nude pareti delle stanze degli ospiti dell'albergo, quasi una bibbia pauperum, con intento moraleggiante. A questa si unirono però in anni successivi dei capolavori provenienti da tutte quelle chiese, monasteri, complessi religiosi soppressi o distrutti a partire dalla fine del XVIII secolo. 

2)La Chiesa di Santa Maria Immacolata, vero diamante incastonato nel cuore dell'Albergo anche architettonicamente parlando. Costruita ad immagine e somiglianza della Basilica Sauli di Galeazzo Alessi, nel suo originario progetto a quattro campanili, la chiesa è all'interno completamente bianca, priva di affreschi, ma adorna di pale d'altare dei massimi artisti del genovesato e sculture di una fattura impareggiabile. Basti pensare alla Maria Immacolata scolpita da Pierre Puget, forse il più grande scultore che mai operò a Genova.

3)Statue e busti dei cosiddetti benefattori, ovvero quelle personalità che donarono averi, imprese o lasciti per l'opera del Brignole, dalla sua costruzione in poi. Le statue monumentali (in stucco o marmo) sono decine, disseminate tra lo scalone principale, il salone e l'aula antistante la chiesa.

Recentemente per la quadreria la Soprintendenza in collaborazione con Fondazione Carige, la Diocesi di Genova e la fondazione E. Brignole ha studiato un piano di ricollocazione dei dipinti di maggiore interesse in alcune chiese della Diocesi che hanno dato disponibilità ad accoglierli o, dove necessario, a restaurarli a loro spese oppure sono stati affidati alla Fondazione Carige che li ha utilizzati per l'arredo del Palazzo Doria (sua nuova sede) effettuando restauri e garantendo l'accesso al pubblico una giornata ogni mese (ogni primo giovedì del mese, dalle 14 alle 17). Sicuramente è un passo in avanti rispetto alla collocazione precedenti delle tele, alcune delle quali (tra cui quattro opere di Valerio Castello) occupano ancora il vecchio "ricovero", di cui mostro una immagine. Sottolineo che su tutto stagnano due dita di polvere e che NESSUN dipinto è coperto neppure con un telo a scopo cautelativo. Stupiamoci poi che servano restauri costosi.

Se con alcune perplessità la soluzione adottata per la quadreria può in qualche modo soddisfare almeno per l'interesse che (finalmente) si è tributato a queste opere, ciò che non esito a definire INTOLLERABILE  e VERGOGNOSO è l'atteggiamento che è stato adottato nei confronti della Chiesa.
Quando, circa nel 2000, l'intero complesso passò in comodato d'uso cinquantennale all'Università di Genova, sotto l'occhio (si presumeva) vigile della Soprintendenza, la Chiesa era un gioiello. Certo, magagne, come in qualunque luogo con 300 anni di storia sul groppone, sicuramente se ne potevano trovare, ma il complesso era curato, pulito e manutenuto, svolgendo anche funzione di Parrocchia per le zone limitrofe. Ricordo di esserci stato a qualche funzione da bambino. Una chiesa bianchissima, come la Basilica di Carignano effettivamente, con la cupola che rifletteva la luce del mattino sul volto della Madonna del Puget, scolpita in un marmo così raffinato dalla mano dell'artefice che quasi pareva trasverberare. Emozioni di bambino, certo. Ma emozioni che di lì a poco nessuno, nè genovese nè foresto, avrebbe mai più potuto provare e chissà se mai potrà qualcuno provarle ancora. Chiusa la Chiesa, trasferita la parrocchialità, accorpandola al Carmine, l'Università cominciò a spianare la strada al più disdicevole degrado immaginabile, con la connivenza (tacita) della Soprintendenza. 
Vi verranno a dire che non c'erano e non ci sono soldi, che per i restauri ci vuole questo quello e codesto. Tutto un mucchio di oscene SCUSE. E neppure tanto ragionate. Quando questi enti, che dovrebbero promuovere il bello e i beni storico-artistici e culturali, vennero in possesso (seppur transitorio) di questo luogo esso era DECOROSO e GODIBILE da tutti i cittadini. In 10 anni (non 300) la Chiesa è in una condizione di magazzino ingombro, sporca, invisibile e soprattutto ha subito enormi danni materiali. Per mancanza di soldi vi diranno che non hanno neppure potuto chiudere le finestre (???) per evitare che l'acqua piovana dilavasse le pareti, gli stucchi e le tele di artisti del calibro di Domenico Piola. Per il costo eccessivo degli operai specializzati vi proporranno il sacrificio necessario delle dita delle mani degli angeli scolpiti da Francesco Maria Schiaffino per erigere la "cupola" protettiva in tubi da ponteggio dell'altar maggiore. Per mancanza di manodopera vi imploreranno di capire che coprire le opere con teli protettivi non era proprio possibile. Per mancanza di personale vi sottoporranno la fantasiosa teoria di dover aspettare 10 anni per poter portare all'attenzione della città il fatto che uno dei suoi più preziosi monumenti stava sprofondando nel degrado.


Voi non credetegli. INCAZZATEVI. Perchè queste persone ci deridono, ci ingannano e cercano di trasformarci in pecoroni della cultura. La cultura e l'arte sono cose radicate sul territorio, non si può amare Van Gogh o Mirò o Caravaggio se si lascia deperire il bene prezioso davanti alla fermata dell'autobus dove passiamo tutti i giorni. Sarebbe, anzi E', una clamorosa ipocrisia, nella quale stiamo sempre più scivolando. Questi enti sono doppiamente colpevoli. Perchè per paura di essere giudicati "male", non hanno mai permesso visite alla Chiesa e all'Albergo, adducendo patetiche scuse sul discorso delle norme di sicurezza, RUBANDO così effettivamente una ricchezza ai genovesi e agli italiani in generale. Una piccola nota. L'Immacolata di Pierre Puget è una delle quattro opere d'arte genovesi presenti in TUTTI i manuali di Storia dell'Arte, sfortunatamente da 10 anni nessuno la può più vedere, neppure i docenti della Facoltà di Genova.

COMPLIMENTI

Chiudo così, con l'amaro in bocca, preoccupato che questi oggetti, testimoni eloquenti della nostra civiltà e della nostra città (più in piccolo), non rappresentino più un valore per nessuno, neppure per chi dovrebbe tutelarne la sopravvivenza e la godibilità per i propri concittadini. Non solo questo purtroppo, ma anche l'aggravante di aver causato un "degrado colposo" di un bene che aveva bisogno di piccoli interventi per essere manutenuto e preservato, pesa sulle spalle dei responsabili attuali di questi beni. Il dramma è che chissà quando saranno disponibili le centinaia di migliaia di euro necessari (ora, non prima) per ricondizionare questo ambiente e i suoi arredi. Per non spendere poco prima, per pigrizia, per incuria o incompetenza ora tutta la comunità dovrà o accettare di perdere una sua incommensurabile ricchezza o di spendere una cifra iperbolica in un tempo difficile proprio sotto il profilo economico.

VOLETE CONTINUARE A FARVI PRENDERE IN GIRO IN QUESTO MODO? CON QUALE DIRITTO CHI HA COSI' POCO RISPETTO DEI CITTADINI E DEI BENI PUBBLICI RICOPRE ANCORA INCARICHI DI QUESTA RESPONSABILITA'? IO NON RIESCO A DARMI UNA RISPOSTA SODDISFACENTE, PURTROPPO.

Ecco, per chiudere con un sorriso (amaro purtroppo) come era la scultura di Puget e sotto una foto della Chiesa ante anni 2000.


martedì 9 ottobre 2012

Mobbastaveramenteperò!

Purtroppo non si tratta di parlare del nuovo capolavoro di Bruno Liegibastonliegi (che potete apprezzare nella sua genialità qui ), bensì di qualcosa di ben più drammatico.
Avete mai provato a partecipare a qualche conferenza, presentazione di volumi, 'tavola rotonda', incontro o semplice attività presentata dal MiBAC (Ministero per i Beni e le Attività Culturali) negli ultimi  mesi? Beh io non so voi, ma a me sembra di essere catapultato ogni volta in un universo parallelo. Come per magia (magia nera però) ad orari diversi, luoghi diversi e a sentire discorsi diversi mi ritrovo con le STESSE dieci (o meno) persone, over 60, che per pietà più che per vero interesse ascoltano la sbrodolata retorica di turno. 

Faccio alcune piccole precisazioni per non incorrere in incomprensioni fuorvianti:
-Non ce l'ho genericamente con il Ministero nè tantomeno con le attività culturali in genere.
-Apprezzo le persone interessate, di tutte le età, mi fa riflettere che non partecipino quasi mai degli individui giovani.
-Rispetto chi si fa in quattro per organizzare le attività che andrò a descrivere, ma contesto il modus operandi, ormai improduttivo e infelice.

Bene, torniamo al tema di queste poche (e polemiche) righe: due in particolare sono stati gli eventi che mi hanno dato un profondo senso di nausea e di impotenza.

Il primo è stato quello organizzato dalla Soprintendenza per i Beni storici, artistici ed etnoantropologici della Liguria in occasione delle Giornate Europee del Patrimonio, in data 29 settembre 2012. Per prima cosa vorrei richiamare l'attenzione sulla assoluta follia che si deve essere impadronita degli organizzatori di codesto evento a livello nazionale: in due giorni, 29 e 30 settembre, in Liguria sono stati proposti non meno di 150 eventi . Ora mi chiedo: ma come diamine si pensa che la gente, per quanto interessata, possa partecipare a queste iniziative quando quasi tutte sono proposte non solo negli stessi giorni, ma addirittura nelle stesse ore? Perchè questa follia? Perchè parcellizzare ulteriormente un pubblico che, purtroppo, in relazione agli eventi culturali, non è sempre molto numeroso? Facendo l'esempio di Genova centro, alle ore 10.30 si trovavano in concomitanza almeno tre iniziative: visita guidata alla Villa Giustiniani Cambiaso, presentazione di documenti concernenti Galeazzo Alessi in occasione dell'Anno Alessiano all'Archivio di Stato, conferenza sui provvedimenti presi a riguardo della quadreria dell'Istituto Brignole da parte della Soprintendenza a Palazzo Reale. Per interessi personali avrei voluto prendere parte a tutti e tre, ma ho dovuto per forza scegliere ed ho scelto la presentazione dei restauri e delle nuove collocazioni della collezione del Brignole, dal momento che è un edificio vicino a casa mia e che mi ha sempre interessato. Non entro (troppo) nel merito di quanto è stato detto dai relatori, tuttavia sono rimasto sconvolto dal trovarmi davanti 8 rappresentanti del Ministero, ognuno con la sua particina da recitare e soltanto 6 altri uditori. Per di più l'esordio dell'incontro è stato: "Questa presentazione è per noi il fiore all'occhiello delle Giornate del Patrimonio". Perdiana la prossima volta mettitici un gatto morto all'occhiello, almeno così gli operatori ecologici vengono, se non altro per pulirti il bavero!!!
Ci rendiamo conto? Alla presentazione di un'operazione che coinvolge Ministero, Curia, Comune, Privati e Banche NON C'ERA UN'ANIMA! A sentire come queste persone spendono soldi pubblici e non per la tutela (o la presunta tale) dei monumenti e del patrimonio artistico della nostra città, nessuno ha avuto tempo, modo o voglia di presentarsi. Ebbene, per quanto uno possa essere pessimista, io non credo sia possibile. Non credo (e lo vedo tutti i giorni) che ci sia un disinteresse a tal punto manifesto da portare a queste conclusioni, e se davvero ci fosse forse bisognerebbe porsi delle ben più circostanziate domande. Io penso che la gente (giovani, vecchi, interessati e non) venga messa nelle peggiori condizioni possibili per prendere parte a questi eventi: in questo caso tre manifestazioni erano addirittura concomitanti per l'orario, il volantino (di cui ora non ho purtroppo l'immagine) era un fascicolo di 5 pagine (ci credo..per 150 eventi!!) stampato in carattere 10 e che ha fatto più ricchi gli oculisti dei pochi che l'hanno letto, il modus operandi della presentazione era come al solito il fuoco di fila di 8 bocche pronte a recitare la solita canzone dei tre porcellini. 



Il secondo è roba ben più recente. Lunedì mattina, stessa Sala da Ballo di Palazzo Reale, stesso orario (10.30). Stessa gente. Per fortuna la presenza del Sottosegretario di Stato Roberto Cecchi fa in modo che la sala sia degnamente piena. L'occasione è la presentazione di un paio di libri molto interessanti (a mio giudizio) sulla programmazione degli interventi manutentivi sul patrimonio monumentale italiano, interventi che porterebbero in proiezione un considerevole risparmio economico e un miglior monitoraggio della situazione degli edifici, evitando di dover ricorrere a restauri "d'emergenza" costosissimi e che hanno come prerogativa quella di essere applicati ad un'opera fortemente compromessa dal degrado.
Ok, l'argomento è interessante: attuale (vista la crisi economica se si tratta di risparmio si va a nozze...), coinvolge senza dubbio molti degli edifici storici genovesi e i relatori sono persone che hanno o dovrebbero avere una notevole competenza. Le premesse sono tutte eccellenti, diamine c'è pure un po' di gente sotto i quarant'anni! Quasi da strabuzzare gli occhi!
Ma ho commesso un micidiale errore di valutazione. La presenza del buon Roberto Cecchi condiziona le menti fortemente inclini al servilismo dei personaggi che a vario titolo si avvicendano al (unico) microfono, che a parte chinare il capo e mormorare i saluti al "Sottosegretario" (povero cristo, ma un nome ce l'ha!) confezionano una delle migliori enfilade di banalità e luoghi comuni sul restauro o l'idea che ne hanno maturato loro che mi sia mai capitato di sentire (e vi giuro che ne ho sentite parecchie purtroppo). L'apice è stato raggiunto quando la Soprintendente ai Beni Architettonici ha menzionato come esempio di restauro ben riuscito la Basilica di Carignano, sostenendo che vi si fosse intervenuti in previsione dell'Anno Alessiano (???) quando ad oggi la chiesa è ancora coperta di reti per evitare il crollo dei cornicioni sulla testa dei passanti e l'unico restauro (che risale a qualche anno fa) aveva interessato le facciate, restauro che, come spiegato dalla stessa Soprintendente, è già andato in malora per "Infiltrazioni d'acqua dovute alla mancata pulizia dei condotti di scolo delle acque piovane in occasione del restauro delle facciate....vedete...la manutenzione servirebbe!". E pensare che la paghiamo. Mio Dio.
IMPAGABILE (ve lo assicuro, dava una soddisfazione eccezionale, anche solo per determinare di non essere l'unico cretino in sala a pensare che i relatori stessero dando il peggio di sè stessi) il sardonico sorriso che inevitabilmente appariva sulle labbra di Cecchi ogniqualvolta l'oratore, vomitando una banalità dietro l'altra con l'aria di aver appena squarciato il velo di ignoranza che copriva i miopi occhi della platea, toglieva gli occhi dal suo viso (sì perchè si rivolgevano A LUI, non al pubblico....no comment) e li volgeva altrove. IMPAGABILE anche il suo intervento, impagabile perchè mette finalmente in ordine i tasselli e fa capire che no, per fortuna non sono tutti deficienti, e che sì, qualcuno che fa il proprio lavoro con passione e per passione c'è ancora. Non ha detto nulla di che, ma è stato chiaro, umile e conciso. Ha testimoniato la voglia di esserci, di svolgere un lavoro che alle volte non riesce, ma che con costanza viene portato avanti nonostante i più o meno manifesti boicottaggi da parte degli ispettori del ministero locali (spero che qualcuno si sia sentito chiamato in causa). Ha detto anche una cosa molto vera, ma che spesso non ci ricordiamo: "E' inutile che ci si stupisca dei crolli a Pompei, del degrado delle nostre città e dei nostri beni. Noi siamo in possesso degli strumenti per sapere ESATTAMENTE che cosa sta succedendo e che tipo di danni sta subendo il nostro patrimonio. Se non interveniamo e il danno diventa effettivo, non si tratta di "caso" o "fatalità", ma di una colpa. La nostra, che ne siamo i tutori".
Grazie Sottosegretario Roberto Cecchi. E' stato un bene che io fossi seduto in un posto da cui non potevo fuggire prima della fine della conferenza, mi sarei di certo perso le tue parole e avrei visto solo il lato negativo di questa ennesima giornata "culturale".

In conclusione di questo bollettino di guerra, quello che mi rimane in testa è che se vogliamo che i cittadini siano presenti e corresponsabili delle scelte che vengono operate sul patrimonio culturale, se si vuole che la città senta monumenti, quadrerie, musei e palazzi come qualcosa di "suo", che li voglia conoscere, amare e valorizzare, bisogna cambiare mezzo di comunicazione. Rinnovare le persone, rinnovare i modi, essere in grado di parlare una lingua comprensibile e non un dialetto estinto, per quanto possa sembrare ancora affascinante ai novantenni di un borgo collinare. Tutto questo senza rinunciare alla scientificità, al rigore dello studio e delle analisi necessarie, è ovvio, ma investendo nel dialogo che è il solo strumento capace di rimettere in comunicazione il mondo culturale con il mondo attuale di questa città, da troppo tempo ormai due universi estranei l'uno all'altro.

Cose di Casa. Roba da XVII secolo.



Credete che la passione maniacale per sistemare l'angolo cucina o il salotto dei nostri sogni sia un delirio tutto della nostra convulsa società di esteti che vivono nella bambagia e nel superfluo? Avete la forte convinzione che passare pomeriggi in negozi di arredamento a cercare il lampadario ideale sia un'esclusivo pallino della vostra fidanzata con le smanie di perfezionismo? Il dubbio che qualche altro pazzo potesse mettersi ad ordinare a cifre da capogiro la carta da parati che vi ha fatto perdere il sonno da quando ci avete posato gli occhi addosso non vi ha mai sfiorato la mente? Pensate che il corso di laurea in Design Industriale sia un percorso di studi particolarmente all'avanguardia?

Spiacente, ragazzi. Siete indietro di quattrocento anni.

Basta affacciarsi alla mostra organizzata in Palazzo Lercari-Spinola (Via degli Orefici 7) da Piero Boccardo e Margherita Priarone, per capire che la moda dell'interior design è qualcosa di molto più antico e complicato di quanto possa sembrare a prima vista. Il materiale della mostra sono alcuni, selezionati disegni che provengono dal Gabinetto di Palazzo Rosso, esposti per l'occasione anche in concomitanza con la fine dei restauri del palazzo cinquecentesco. Il repertorio dei designers "d'annata" è al gran completo: da Giulio Benso a Domenico Piola, da Gregorio de Ferrari ad Andrea Leoncini, tutti presentano progetti per decorazioni di sale, soffitti e volte, proposte per differenti tipologie di appliques e di lampadari dalle estrose forme, idee elaborate per l'arredo di pareti e salotti.
Così, in quattro sale e nel giro di una cinquantina di disegni, si riesce a osservare il crescere del tratto di una scuola genovese di pittori, disegnatori e decoratori che segnano la carta con una fantasia straordinaria ed inesauribile.
Due esempi su tutti testimoniano la ricchezza di queste opere, piccole nel formato, umili nella destinazione di bozzetto o contratto, ma grandiose nel tratto estroso e camaleontico in cui pochi tratti di biacca o acquerello rilevano una volumetria dalla straordinaria fisicità. Giulio Benso è in mostra con un disegno che definire 'mirabolante' è riduttivo: è un'emozione particolare guardare quelle forme incise a punta di piombo sulla carta spessa, quei corpi modellati dalla biacca che sembrano diventare rilievo tangibile di pietra o bronzo, mutando  la superficie piatta della cellulosa in corposa materia scolpita. Un'emozione che ti dice da dove vengono le bellezze del barocco genovese, colorato e gonfio di aria e spazi vivi, anche se, nel caso di Giulio, fortemente condizionato da una ricerca spaziale e prospettica di estrema profondità e accuratezza matematica: vengono da quei fogli ingialliti, dall'umile penna di quei disegni, prototipi imprescindibili di un rinnovamento in corso.
Gregorio de Ferrari (Porto Maurizio 1647 - Genova 1726), Progetto di decorazione di sala con fontana, matita nera, penna e inchiostro, pennello e inchiostro acquerellato, biacca, carta marroncina, Gabinetto Disegni e Stampe di Palazzo Rosso.
Il secondo "momento" è l'incontro con Gregorio (de Ferrari). Chi lo conosce anche solo un minimo, alla fine dimostra di avere sempre un debole per Gregorio. Vivido, fantasioso, intraprendente ed imprevedibile: la sua mano è come un'onda, una risacca che copre il foglio con un flusso ininterrotto di linee curve intrecciate a formare i contorni flessuosi delle sue figure, modellate nei volumi da un acquarello leggero, qua e là più marcato a segnare le ombre profonde. Quello che è chiamato Progetto di decorazione di sala con fontana è un bijou contenente tutti i carismi e i caratteri dell'artista imperiese: i grandi padiglioni a conchiglia, che saranno materia per molti dei suoi lavori (come quelli in Palazzo Balbi-Senarega), attorniati da una decorazione fitomorfa camaleontica e quasi viva, dove non è chiaro se siano le figure a diventare decoro o il decoro a tramutarsi in figura; la grande cornice che ormai di architettonico conserva quasi esclusivamente l'ingombro volumetrico, ma che si è fatta anch'essa movimento e ricerca di spazialità, tanto da abbandonare la pretesa di una determinazione prospettica della volta e da rimanere a connotare il nostro spazio, lo spazio 'fisico'. Quasi un 'bordo' oltre il quale il mito, aereo e libero di misurare una spazialità svincolata da qualsiasi legge (anche quelle matematiche), prende vita, determinato solo e soltanto dalle volumetrie di figure abilmente scorciate e proporzionate, in una libera e innovativa interpretazione di quella lezione correggesca appresa nelle cupole parmensi che il buon Gregorio aveva avidamente studiato in gioventù, insieme ad un altro genovese che avrebbe mostrato un certo estro per l'illusione barocca: Giovanni Battista Gaulli, detto il Baciccio.

In sostanza, si potrebbe scrivere a lungo sulle opere che potrete trovare in questa esposizione. Un'esposizione che non esiterei a definire "gioiello", per semplicità, preziosità e grazia. Un'esposizione che non impegna, che può anche solo piacere ai meno avvezzi al 'mestiere' per la bellezza del tratto di Domenico Piola, decano di questi artisti che rivoluzioneranno il dipingere a Genova, oppure può emozionare i più smaliziati nel riconoscere su 'carta' immagini a noi note 'a fresco'. Insomma, un momento ricco, ma sereno, senza la pretesa, ormai troppe volte abusata, di rivelare alcunchè, di essere 'pane per esperti': un momento come quelli di cui Genova aveva tanto bisogno e che si spera non rimanga un esempio solitario.

Inserisco il link alla pagina del mentelocale che pubblicizza la mostra, con tutte le informazioni del caso: Informazioni mostra

Se potete andate a vederla. Anzi. Andate a vederla. Il 'potere' in questo caso è d'obbligo.