martedì 9 ottobre 2012

Cose di Casa. Roba da XVII secolo.



Credete che la passione maniacale per sistemare l'angolo cucina o il salotto dei nostri sogni sia un delirio tutto della nostra convulsa società di esteti che vivono nella bambagia e nel superfluo? Avete la forte convinzione che passare pomeriggi in negozi di arredamento a cercare il lampadario ideale sia un'esclusivo pallino della vostra fidanzata con le smanie di perfezionismo? Il dubbio che qualche altro pazzo potesse mettersi ad ordinare a cifre da capogiro la carta da parati che vi ha fatto perdere il sonno da quando ci avete posato gli occhi addosso non vi ha mai sfiorato la mente? Pensate che il corso di laurea in Design Industriale sia un percorso di studi particolarmente all'avanguardia?

Spiacente, ragazzi. Siete indietro di quattrocento anni.

Basta affacciarsi alla mostra organizzata in Palazzo Lercari-Spinola (Via degli Orefici 7) da Piero Boccardo e Margherita Priarone, per capire che la moda dell'interior design è qualcosa di molto più antico e complicato di quanto possa sembrare a prima vista. Il materiale della mostra sono alcuni, selezionati disegni che provengono dal Gabinetto di Palazzo Rosso, esposti per l'occasione anche in concomitanza con la fine dei restauri del palazzo cinquecentesco. Il repertorio dei designers "d'annata" è al gran completo: da Giulio Benso a Domenico Piola, da Gregorio de Ferrari ad Andrea Leoncini, tutti presentano progetti per decorazioni di sale, soffitti e volte, proposte per differenti tipologie di appliques e di lampadari dalle estrose forme, idee elaborate per l'arredo di pareti e salotti.
Così, in quattro sale e nel giro di una cinquantina di disegni, si riesce a osservare il crescere del tratto di una scuola genovese di pittori, disegnatori e decoratori che segnano la carta con una fantasia straordinaria ed inesauribile.
Due esempi su tutti testimoniano la ricchezza di queste opere, piccole nel formato, umili nella destinazione di bozzetto o contratto, ma grandiose nel tratto estroso e camaleontico in cui pochi tratti di biacca o acquerello rilevano una volumetria dalla straordinaria fisicità. Giulio Benso è in mostra con un disegno che definire 'mirabolante' è riduttivo: è un'emozione particolare guardare quelle forme incise a punta di piombo sulla carta spessa, quei corpi modellati dalla biacca che sembrano diventare rilievo tangibile di pietra o bronzo, mutando  la superficie piatta della cellulosa in corposa materia scolpita. Un'emozione che ti dice da dove vengono le bellezze del barocco genovese, colorato e gonfio di aria e spazi vivi, anche se, nel caso di Giulio, fortemente condizionato da una ricerca spaziale e prospettica di estrema profondità e accuratezza matematica: vengono da quei fogli ingialliti, dall'umile penna di quei disegni, prototipi imprescindibili di un rinnovamento in corso.
Gregorio de Ferrari (Porto Maurizio 1647 - Genova 1726), Progetto di decorazione di sala con fontana, matita nera, penna e inchiostro, pennello e inchiostro acquerellato, biacca, carta marroncina, Gabinetto Disegni e Stampe di Palazzo Rosso.
Il secondo "momento" è l'incontro con Gregorio (de Ferrari). Chi lo conosce anche solo un minimo, alla fine dimostra di avere sempre un debole per Gregorio. Vivido, fantasioso, intraprendente ed imprevedibile: la sua mano è come un'onda, una risacca che copre il foglio con un flusso ininterrotto di linee curve intrecciate a formare i contorni flessuosi delle sue figure, modellate nei volumi da un acquarello leggero, qua e là più marcato a segnare le ombre profonde. Quello che è chiamato Progetto di decorazione di sala con fontana è un bijou contenente tutti i carismi e i caratteri dell'artista imperiese: i grandi padiglioni a conchiglia, che saranno materia per molti dei suoi lavori (come quelli in Palazzo Balbi-Senarega), attorniati da una decorazione fitomorfa camaleontica e quasi viva, dove non è chiaro se siano le figure a diventare decoro o il decoro a tramutarsi in figura; la grande cornice che ormai di architettonico conserva quasi esclusivamente l'ingombro volumetrico, ma che si è fatta anch'essa movimento e ricerca di spazialità, tanto da abbandonare la pretesa di una determinazione prospettica della volta e da rimanere a connotare il nostro spazio, lo spazio 'fisico'. Quasi un 'bordo' oltre il quale il mito, aereo e libero di misurare una spazialità svincolata da qualsiasi legge (anche quelle matematiche), prende vita, determinato solo e soltanto dalle volumetrie di figure abilmente scorciate e proporzionate, in una libera e innovativa interpretazione di quella lezione correggesca appresa nelle cupole parmensi che il buon Gregorio aveva avidamente studiato in gioventù, insieme ad un altro genovese che avrebbe mostrato un certo estro per l'illusione barocca: Giovanni Battista Gaulli, detto il Baciccio.

In sostanza, si potrebbe scrivere a lungo sulle opere che potrete trovare in questa esposizione. Un'esposizione che non esiterei a definire "gioiello", per semplicità, preziosità e grazia. Un'esposizione che non impegna, che può anche solo piacere ai meno avvezzi al 'mestiere' per la bellezza del tratto di Domenico Piola, decano di questi artisti che rivoluzioneranno il dipingere a Genova, oppure può emozionare i più smaliziati nel riconoscere su 'carta' immagini a noi note 'a fresco'. Insomma, un momento ricco, ma sereno, senza la pretesa, ormai troppe volte abusata, di rivelare alcunchè, di essere 'pane per esperti': un momento come quelli di cui Genova aveva tanto bisogno e che si spera non rimanga un esempio solitario.

Inserisco il link alla pagina del mentelocale che pubblicizza la mostra, con tutte le informazioni del caso: Informazioni mostra

Se potete andate a vederla. Anzi. Andate a vederla. Il 'potere' in questo caso è d'obbligo.







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